“Tecnico di atletica leggera?’. ‘No, grazie!”.

                Il rifiuto secco ma garbato non è spocchioso ma ha altre ragioni.

                La qualifica non ha scarso credito, anzi. Essa è apprezzata perché attribuita a gente scrupolosa, aggiornata e con competenze di livello.

                Ad essere messa in discussione è piuttosto la precarietà d’uso di quel tesserino.

                L’atletica ha un tessuto rappresentato da rarissimi grandi club, escluse le società militari, qualche team di media dimensione ed una miriade di piccoli gruppi che ne rappresentano il cuore pulsante, ma che vivono di bilanci risicati, senza il ristoro dello sponsor, che preferisce investire in altre discipline sempre visibili sulle pagine dei quotidiani locali e tutti i giorni sotto le luci delle telecamere. Eppure, nemmeno sfiorano i risultati sensazionali dell’atletica leggera, una Regina trattata da Cenerentola.

                Si scrive e si parla di atletica solo in occasione di risultati eclatanti che, in pochi giorni, però, sfumano ed esauriscono il loro appeal.

                Tranne qualche risicato rimborso-spese, i tecnici non incassano un euro, eppure, ogni fine settimana, emigrano verso piste e pedane lontane in cui sono impegnati gli atleti che essi allenano. 

                E allora chi diventa tecnico di atletica?

Solo un matto o uno fuori dalla grazia di Dio, oppure qualcuno uscito di senno. Non sembrano esserci altre spiegazioni.

                In tempi in cui imperversa “mammona”, il dio denaro, uno, trino e quattrino, i tecnici di atletica sono figure quasi mitologiche, al cui confronto Don Chisciotte è un cinico procacciatore di affari. Alcuni di loro, allettati da proposte di club disposti a remunerarli, scelgono di operare in altre discipline.

                E la Virtus, allora, come fa?

                Essa cresce i suoi tecnici al proprio interno, coinvolgendoli nel suo racconto ed affidando loro il compito di far durare una storia che ha bisogno non di uomini comuni, ma di un manipolo di sognatori. Affida, perciò, a loro il testimone ed il compito di fare da capicordata nell’avventura più esaltante ed ostica: sostenere ciascun ragazzo a scalare la montagna che è dentro di sé per poi puntare a nuovi ed entusiasmanti orizzonti. Li sorreggono gli esempi appresi, la gratuità e la passione di chi li ha educati e preceduti.

                Roberto Palladino, allenatore specialista, segue da quarant’anni velocisti, lanciatori e saltatori. Di tanto in tanto gli dà una mano Candido di Lisio, generoso 118.

                Nicola Palladino, specialista di mezzofondo, guida la carovana dei “signori della fatica”: è destinato a succedergli un ex suo atleta, Andrea Piscopo, che già lo affianca ed è pronto a raccoglierne l’eredità.

                Cristina Rossodivita cura l’attività di base, il settore promozionale, da cui sono lievitati molti dei campioni che hanno fatto la gloria del Molise. Cristina educa i ragazzi e li “impasta” con passione ancora maggiore di quella che impegna nel produrre la fragranti pizze del ristorante di papà Gino. Attualmente è sorretta nel compito da Claudia Colagiovanni, laurea triennale in Scienze Motorie.

                Grazie a loro e agli altri anelli di una catena indistruttibile: Leo Leone, Mario Farinaccio, Aniello Renga, Sergio Genovese, Gaetano Antoniani, Claudio Schipani, Gabriele De Nigris, Concetta Palladino, Elio Palladino, Vincenzo Barisciano, Teodoro Simone, Franco Passarella, Michele Iarocci, Dino Mucci, Pasquale Vezza e Giacomo Rizzi, la bacheca giallo blu tracima di titoli italiani, di maglie azzurre; risplende di un titolo europeo e vanta riconoscimenti di livello mondiale.

                Dare un senso alla propria vita è possibile anche attraversandola sottobraccio ai ragazzi dello sport e provando a sognare i loro stessi sogni.

                Non sempre a vincere è “mammona”!

10/07/2014