La tua mano sulla mia spalla
Ero appena uno scricciolo quando un pomeriggio di settembre mi presentarono a te.
Un omone con la barba nera, occhi penetranti, voce sicura. Subito rendesti il mio nome più snello, valutasti la mia persona e posandomi la mano sulla spalla m’indicasti, in silenzio, un gruppo di atleti con i quali correre.
Con quel gesto m’apristi la porta della grande famiglia Virtus.
Le maldicenze di qualcuno, mentre attraversavo l’adolescenza, mi portarono a sposare una causa che m’allontanò dalla Virtus per qualche mese. Solo la tua sensibilità fece sì che, con la convocazione al classico raduno che si teneva a Formia nel periodo natalizio, io potessi riavvicinarmi. Ed una sera, durante la passeggiata, poggiasti la tua mano sulla mia spalla. Non una parola, non uno sguardo. Nulla. Quel silenzio era più significativo di mille parole. Quella mano mi fece capire quanto mi volessi bene.
Avrei voluto non vivere mai i primi sintomi e i successivi momenti della tua malattia. Non è stato facile.
Quello che chiamavi “il cretino” ti aveva dichiarato guerra e tu, con coraggio, l’hai combattuta. Di battaglie ne hai vinte tante dando a tutti esempio di vita. Una sera, quando ancora ti ostinavi a presenziare agli allenamenti, toccò a me doverti riaccompagnare a casa. Ancora una volta la tua mano sulla mia spalla.
Quella volta, però, era tutto diverso.
Quanta fatica per sostenere il peso del “cretino”. Ti stava sfinendo nelle forze, nei movimenti, nelle parole, ma non nell’animo e nell’amore.
Ed oggi il tuo amore è ninfa per chi come me tanto ha ricevuto e ha fatto suoi i tuoi insegnamenti.
Non c’è parola per ringraziarti, non c’è gesto per imitarti, non c’è nulla che possa farti dimenticare.
27/12/2014