Ricordate il volto disperatamente bello di Omayra Sanchez? Una piccola india di tredici anni, la pelle d’ambra, i corti capelli crespi. Rimase prigioniera di una lastra di cemento nella misera casa columbiana travolta dalla piena del rio Langunilla: con l’acqua a fior di labbra lottàò e pregò per vivere armandosi di speranza in uomini troppo poveri e di fede in un Dio in quel momento distratto.
Come una bambolina di fango fu tirata su ch’era ormai senza vita.
E Monchito, sepolto vivo dal terremoto in Messico, che parlava con una vocina ch’era uno spiffero di vento e comunicava indomito con i soccorritori, quando ad un adulto sarebbe bastato assai meno per morire? Ricordate Alfredino, il bimbo di Vermicino, infilato nelle viscere della terra, che parlava di Mazinga, di Goldrake e dell’Uomo Tigre?
Tenne duro aspettando l’uomo Ragno ma l’amico purtroppo era in missione altrove. Se ne andò lasciandoci con un nodo in gola.
Solo i bambini, anche nelle situazioni più compromesse, sanno ancora giocare con la vita perché, misteriosamente, come Peter Pan, ne sanno percorrere incantati il circolo.
Mischiati con i nostri ragazzi, ci saranno idealmente anche loro a correre la 13^ “Su e Giù”; per essere infatti ai nastri di aprtenza bisognerà tornare bambini, far festa alla vita: solo in essi riposa ancora la prestoria dell’uomo, la natura prima della cultura, lo stupore prima del disincanto.
Una lunga transumanza verso la fanciullezza attende perciò gli adulti. Dovranno scendere di quota, scollinare e sciogliere le pastoie dell’anagrafe, rivisitando l’universo che fu loro da bambini. Vivranno un itinerario di disagio e di sorprese ma soprattutto di buona volontà.
Ci sarà da scongelare i sorrisi ibernati, se ancora non si sono irrigiditi nel ghigno, dovranno staccare dal chiodo, a cui sono state condannate, fantasie e libertà. Dovranno rimandare i quotidiani funerali alla loro coscienza. E si dovrà tacere.
Noi adulti drammatizziamo la vita. Nel nostro linguaggio spesso trovano spaccio solo parole che rubano immagini all’inferno: angoscia, nevrosi, insofferenza, indifferenza, mafia, droga…
Come non dare ragione a chi diceva che il diavolo è un ottimista se crede di poter peggiorare gli uomini?
Ma allora guardiamo i ragazzi e non per dare lezione ma per essere, una volta tanto, scolari. I loro messaggi non hanno codici indecifrabili, non si affidano al politichese, nè al computerese, nè al sinistrese: la chiave di traduzione è il gioco. Solamente il gioco. Seguiamoli nel viaggio e affittiamone la scia. I piccoli giocheranno con le strade e i vialoni, con i vicoli e lo sterrato; si fermeranno appena saranno stanchi e procedereanno solo dopo aver riposato.
Tenteranno di emularsi senza per questo aver voglia di un nemico, arriveranno comunque al traguardo senza patire la posizione di arrivo, saranno contenti del premio che toccherà loro senza pretendere un riconoscimento discriminante.
Saranno felici per essersi stancati, per aver sfiorato auto bloccate, per aver irriso i comandamenti di chi li vuole sempre ordinati e composti.Sono loro, forse, l’unico scudo spaziale contro il futuro ignoto, l’unico riferimento sicuro per non profetizzare e realizzare le sciagure di cui pure siamo capaci.
Ma per far tutto questo bisognerà sforzarsi di capirli e bivaccare un momento alle sorgenti della vita, e alzarsi quel giorno con la faccia della prima comunione e con gli occhi di chi è alla sua prima felicità.
Allora avrà inizio e fine l’itinierario dentro e fuori di noi e forse qualcosa del viaggio rimarrà sotto pelle e in fondo all’animo.
Vi propongo un brindisi di cuore: viva chi gioca, abbasso i giocatori!
Nicola Palladino