40^ Su e Giù - 2013

2013 La quarantesima, come la prima

La quarantesima edizione della Su&giù è come la prima.
Densa di tensioni, di emozioni, di passioni, rese più forti e radicate dal ricordo di Nicola: il suo mentore, il suo inventore, il suo cantore. La quarantesima come la prima, per partecipazione di popolo ed espressione di una “nuova” frontiera mai più arretrata dall’anno della sua nascita. Campobasso deve tanto a questa manifestazione che raggruma, come insistiamo a ragion veduta, la gioia di esserci e di cimentarsi. Gli deve la possibilità di riconoscersi un’entità viva, dinamica, volitiva. A dispetto di una manifesta quanto insita apatia, della quale paghiamo in termini di qualità della vita il “nostro pane quotidiano”. Una manifestazione in cui il valore sportivo, che pure è notevole sotto il profilo e l’aspetto tecnico, passa in seconda fila, dietro il valore sociale e culturale che la Su&Giù riassume di anno in anno nella titolazione dell’edizione “Sport libera tutti” (frasi, attestazioni che, nate dalla mente fertilissima di Nicola, hanno trovato nel “clan” Palladino la necessaria continuità sul filo dell’intelligenza, la stessa di cui Nicola ha fatto uso straordinario per rendersi maestro di vita e… di passioni). Nicola non è più tra noi fisicamente, ma il suo spirito incombe su ognuno di noi irrorando quanto ci resta di vivere, di una fede laica da onorare giorno dietro giorno con l’onestà dell’intelletto e le pulsioni del cuore: la sua vita. Che continua nel fiume umano che scorrerà per la quarantesima volta tra le strade e la periferia della città a testimonianza di una sollecitazione a correre, voluta e concepita per coniugare indissolubilmente la libertà fisica con quella dello spirito e della mente. Non intendo cadere nell’eccesso emotivo e nel virtualismo, quanto ribadire con forza la bellezza, la straordinarietà, la possibilità di aggregarsi a migliaia sotto le bandiere e gli striscioni gialloblù e per giorno sentirsi solidali, amici, e concorrenti. Colui che ha creato questa straordinaria combinazione, come nella prima edizione così nella quarantesima, sarà tra noi per complimentarci. Voglio crederlo.

Adalberto Cufari

 
 
 

2013 – C’eravamo tutti

Ed anche l’edizione numero quaranta della Su e Giù si è archiviata.
E’ andata via cosi come è arrivata, in un delirio composto, ma mai fuori posto. Educata, scanzonata, ma non irriverente, festosa, ma non caciarona, sorprendente.
Il petulante quesito del giorno dopo è, però, sempre lo stesso: “Allora, quanti iscritti?” oppure “Seimila, settemila?” ed altre domande simili ed allo stesso tempo scontate. Sì, perché il successo della Su e Giù non è quantificabile in numeri; non è formula matematica né scienza esatta; è intellegibile solo al mondo delle emozioni.
Un brivido.
Parte dalla punta delle dita, sale lungo le braccia e si accumula, avvolgendosi come un filo attorno la spina dorsale, negli attimi che precedono il colpo di pistola. Scaturisce all’improvviso e, come onda anomala, gonfia i petti prima di rovesciarsi schiumante sulle basole di corso Vittorio Emanuele.
Il successo della Su e Giù non è qualificabile in parole; non è rima baciata né endecasillabo; è percepibile solo negli occhi dei bambini.
Un raggio di luce.
Si intrufola tra le palpebre socchiuse forzandone i meccanismi ingrippati dal sonno; illumina gli angoli bui fino a raggiungere il cuore che, come prisma, ne scompone le frequenze per rimandarlo fuori sotto forma di un sorriso scintillante colore arcobaleno.
A chi chiede, allora, quanti eravamo domenica rispondo tanti, tantissimi, ma mai troppi. Come le molecole del brodo primordiale ci siamo raggruppati attorno al centro di gravità del Monumento, sempre più compatti, strizzati l’uno all’altro fino a formare un unico serpentone avvolto su se stesso che si è, all’improvviso, stiracchiato lungo le vie della città nuova, prima di tuffarsi nella tana amica del centro storico.
Con il nostro vociare, dapprima sommesso e poi roboante come il tuono di una tempesta che si avvicina, abbiamo invaso le larghe strade ed i vicoli angusti, le campagne operose e la sonnacchiosa periferia. C’era Matteo, di appena due mesi, “battezzato” alla Su e Giù prima ancora che al Padreterno. C’era il velo svolazzante di suor Rosita con i suoi amati orfanelli e Carmine, il presidente gialloblu, ad onorare la sua “creatura” dopo mesi di duro lavoro, coordinatore e insieme manovale. C’erano musicisti e ballerini, cani e conigli. C’erano le nonnine ai balconi che applaudivano la nostra vitalità mentre riscoprivano la loro, sepolta sotto il peso di tante primavere. C’erano gabbiani e palloncini a giocare col vento. C’era il Sole, ma non scaldava più di quanto facessero i nostri cuori e non illuminava più di quanto abbagliassero i nostri sguardi. C’era una Campobasso finalmente viva, capace di lasciarsi scivolare di dosso i panni trasandati, pieni di buchi e rammendi mal riusciti; per qualche ora è parsa di nuovo bella e, guardandosi allo specchio, si è sentita di nuovo importante, benvoluta,… addirittura amata. C’erano gli enti pubblici con i loro patrocini comunali, provinciali
e regionali.
“eravamo tutti e c’eri tu, Nicola, ad accompagnarci in quel viaggio iniziato nel tuo cuore e finito nel nostro.

 

Francesco Palladino

 
 
 
 

2013 – La rivalsa dell’ultimo

E arriverà il Sabato della Su e Giù!
Ci si ritroverà puntuali all’appuntamento mai fissato, imbacuccati in cappelli di lana e in colorati impermeabili frangi – nebbia.
Risveglieremo il Corso col clangore di transenne, centinaia, e con lo strepito di voci che si rincorreranno per l’intera giornata. I nonnetti, incuriositi, scruteranno da sotto le folte sopracciglia il convulso brulicare, e schivi e sospettosi sceglieranno di defilarsi quanto basta, per osservare di soppiatto, il dinamico cantiere.
Verranno innalzati tendoni, e con l’elio che assottiglia la voce si gonfieranno palloni che saluteranno i nostri affetti lontani. Come i bambini, che colorano l’album non badando ai contorni ma alle pulsioni del cuore, straborderemo lungo le strade per trasformare il grigio asfalto in scintillante arcobaleno. Ci sfiancheremo fino al tramonto e ancora durante la notte, ma non avremo voglia di smettere… di giocare!
Eh già!, perché la Su e Giù è un gioco d’infanzia, è lo sport che senza vergogna torna a mostrarsi nudo, privo di fronzoli e trucchi che, come su un volto antico, alterano anziché arricchire.
La dedicheremo allora a tutti gli ultimi del mondo, agli emarginati, ai diseredati, a chi ha perso la speranza ed ha chi gli è stata rubata, a chi si aggrappa alle sbarre desiderando fossero transenne da scavalcare per unirsi alla folla festosa. E’ soprattutto a loro, ai carcerati, che parla la Su e Giù di quest’anno. Il carcere è luogo fisico di costrizione mentale, in cui lo spirito umano si intorpidisce di pari passo con l’inattività del corpo. Quale migliore medicina allora dello sport, praticato al suo interno, è in grado di rinfrancare l’animo creando i presupposti per una migliore sopportazione delle condizioni di vita? E quale ambasciatore più attendibile di quei valori sani della società a cui i reclusi sono in passato venuti meno!
Non lo sport da rotocalco, milionario e mercenario, ma lo sport dei bambini, quello giocato, quello che diverte e fa sognare, quello in cui le regole sono rispettate e non eluse. Lo sport vero, quello della Su e Giù, è una partita a nascondino, in cui chi fa la conta fino a cento non si ferma a ottanta, non sbircia di sottecchi e dove per una volta l’Ultimo, il tanto ignorato ultimo, diventa protagonista col suo
“Tana libera tutti!!!”
E’ per questo che saremo con te, ancora una volta, amata Su e Giù, per giocare a nascondino con la vita e gridare a squarciagola “Sport libera tutti!!!”

 

Francesco Palladino

 
 
 

2013 – Quarant’anni di sogni e di utopiche visioni

Per la prima volta nella storia viene effettuata una telefonata da un cellulare portatile, mentre Eddy Merckx vince la cinquantaseiesima edizione del Giro d’Italia davanti a Felice Gimondi. Johan Crujiff alza il pallone d’oro ed è l’anno che dà i natali a Vieri, Cannavaro e Zanetti. Al contrario lasciano la scena terrena due grandi Pablo Picasso e Neruda. E’ il 1973 e due fratelli campobassani hanno un’idea ardita. Quella di aggregare il popolo cittadino e nel contempo di tornare a dar lustro alla città vecchia. Come trasformare un’utopica visione in qualcosa di concreto? Semplicemente attraverso lo sport e la sua regina.
L’atletica. Nasce così la Su & Giù, manifestazione che da quarant’anni, in una domenica di inizio novembre, tiene viva la città di Campobasso. Un capoluogo di regione per troppi versi avviato verso un inesorabile declino. Morale e intellettuale. La Su & Giù tiene viva la flebile fiammella della speranza.
Testimonianza che qualcosa di diverso è possibile. E’ possibile riappropriarsi dei propri spazi cittadini. E’ possibile unire un popolo diviso dai tempi dei Crociati e dei Trinitari. E’ possibile valorizzare un borgo che non ha nulla da invidiare ai più celebrati ed osannati centri storici d’Italia. Quanta cultura e quanta storia abitano le mura un tempo delimitate dalle sei porte?
Possibile che solo la Su & Giù riesca nell’intento di restituire dignità a quei luoghi? Per fortuna che c’è. Perché a prescindere da tutto, Campobasso non sarebbe tale senza il suo evento più atteso e significativo. La città giardino e la città della Su & Giù: così per anni è stato riconosciuto il capoluogo di regione. Se il primo enunciato non è più vero, per il secondo sarà così ancora a lungo. Fino a quando la Virtus avrà la forza e la voglia di seguire le orme tracciate dai fratelli Palladino, partiti da quell’utopica visione. Un sogno lungo quarant’anni, cresciuto nel corso delle stagioni e fatto proprio dalla maggior parte dei campobassani. Perché non c’è un bambino che non aspetti con trepidazione quella domenica di novembre. novembre. E non c’è un adulto, passato da quella trepidazione, che non annoti sul calendario
quella data.
Quaranta candeline sono tante e poche sono le manifestazioni di questo genere che tagliano un simile traguardo. Se alle fondamenta non c’è passione, non c’è amore, non ci sono sogni o utopiche visioni non si arriva a queste mete. Obiettivi che solo lo sport può raggiungere. E il tema di questa quarantesima edizione non poteva essere differente: sport libera tutti. Perché lo sport libera dagli affanni quotidiani. Dall’angoscia di un vivere di stenti. Lo sport ha evitato guerre (Gino Bartali, Tour del ’48). ed é sfuggito ai pregiudizi (Jesse Owens, Berlino ’36). Lo sport aiuta e lo sport insegna. Anche a vivere. Perché nella vita, come nello sport “mai nel cuore degli uomini vi siano sentieri di resa”
Buon compleanno Su & Giù.
Lunga vita a te e alle utopiche visioni.

 

Mimmo di Iorio

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